LA STORIA. Nell’immediato dopoguerra, migliaia di persone sopravissute al nazismo si riversarono in Puglia. Le forze alleate, inglesi e americane, individuarono nel borgo di Santa Maria al Bagno, stazione balneare fin dall’antichità, e nelle località di Cenate e Mondonuovo, i luoghi ideali in cui allestire un campo di accoglienza diffuso. Altri campi furono allestiti tra Santa Maria di Leuca, Santa Cesarea Terme e Tricase Porto. Il Displaced Persons Camp n.34 di Santa Maria al Bagno, il più grande, fu attivo dalla fine del 1943 al luglio del 1947 e ospitò migliaia di ebrei.

Nel campo la vita quotidiana si svolgeva con grande serenità grazie alla gestione organizzata in ogni minimo dettaglio. Le numerose ville presenti in zona vennero requisite, essendo abitate solamente nel periodo estivo, per alloggiarvi sia gli sfollati che gli ufficiali alleati. Anche la residenza estiva del vescovo fece parte di quello che potremmo definire con termine moderno un “campo profughi diffuso”. E infatti i centri associativi dell’esistenza quotidiana in questa piccola comunità italo-ebraica erano stati predisposti in un’area che si estendeva per circa dieci chilometri: il municipio, con tanto di Mayor, il teatro e un centro di preghiera nella villa Personé, la sinagoga nella piazza del borgo, il quartier generale degli ufficiali nel palazzo che si affaccia sulla spiaggia e così via fino alle scuole dove veniva impartita l’educazione ebraica ai pochi bambini presenti nel campo, alle mense dove all’occorrenza si poteva mangiare secondo la tradizione kasher o ai centri di recitazione assiduamente frequentati. Non mancava l’ospedale, allestito nella bellissima villa Del Prete, dove il personale, primario compreso, era quasi completamente ebraico.
L’attività fisica era considerata di primaria importanza, soprattutto per i giovani che avevano il compito di costituire il nuovo stato d’Israele e dovevano essere temprati per poter affrontare un lungo e rischioso viaggio via mare. C’era dunque anche la possibilità di organizzare tornei di calcio in cui si distingueva la squadra ebraica dei “Maccabi”. L’addestramento delle giovani leve che aderivano al progetto di realizzare il sogno dell’Aliyah (ascesa verso la Terra Promessa) era nelle mani delle associazioni ebraiche, anche contrapposte tra loro, e veniva effettuato in una masseria, adibita a kibbutz e chiamata appunto “Aliyah”, in località Mondonuovo.
Insomma, le premesse per instaurare un clima di pacifica convivenza, data anche l’indole gioviale e ospitale dei salentini, c’erano tutte: avvenivano scambi materiali (il cibo in scatola americano fornito dall’UNRRA in abbondanza veniva barattato con il pesce e la frutta fresca del luogo), ma anche culturali e soprattutto affettivi.

La breve permanenza in questo ”angolo di Paradiso”, come chi scrisse le sue memorie definì questa parte del Salento, dissolse tutti i ricordi dolorosi aprendo la strada al desiderio di rinascita così che, in soli due anni, circa quattrocento matrimoni vennero celebrati, sia con rito civile alla presenza del Mayor, sia con rito religioso presieduto da un rabbino. Da queste unioni nacquero ben duecentocinquanta bambini, aiutati a venire al mondo nella “baby clinic” di Santa Maria di Leuca, altra amena località salentina che insieme a Tricase e a Santa Cesarea Terme ospitò dei D.P.C.. Testimonianza di queste nascite viene offerta nel film-documentario “Shores of Light”, girato da Yael Katzir, che segue tre donne israeliane “figlie di Leuca” nel loro viaggio-pellegrinaggio verso i luoghi che diedero loro i natali.
Il campo di Santa Maria al Bagno può essere considerato il più importante, oltre che il più esteso, del Salento, anche perché vi stazionarono personalità eccellenti del mondo culturale e politico ebraico. Sicuramente vi soggiornò Dov Shilansky, esponente autorevole del partito Likud e membro del Knesset negli anni ’70. Purtroppo non possiamo affermare con la stessa sicurezza che vi passò addirittura Golda Meir che comunque si dice abbia apposto la sua firma in calce a un certificato di matrimonio.
Tutti questi avvenimenti, inseriti in un importante periodo della storia mondiale e vissuti in un angolo remoto dell’Italia del Sud, non sono andati perduti. Fortunatamente essi sono conservati, sotto forma di prove iconografiche sia pittoriche che fotografiche, nel Museo della Memoria e dell’Accoglienza in Santa Maria al Bagno.